Cara Michelle Hunziker,

conosco molto bene la sua storia e il suo impegno per la difesa delle donne. Ho letto anni fa il libro “Con la scusa dell’amore” e ho provato un’intensa emozione di solidarietà. Ho sentito il richiamo della voglia di dare una “scossa” per essere di esempio per altre persone che credono nell’amore, ma che se strumentalizzato o distorto, diventa un punto di vulnerabilità.

Anche io, a poco più di 20 anni, ho vissuto un’esperienza che mi ha segnata e so cosa vuol dire non riuscire ad uscire dalle sabbie mobili. Ho reagito cadendo e rialzandomi più volte e a distanza di molti anni, rivedo quell’esperienza come un “punto di svolta”.

Allo stesso modo fui molto felice quando seppi che lei, Michelle stava bene e che aveva messo a disposizione della comunità le sue esperienze ed era impegnata tramite aste di beneficienza in raccolta fondi. Pensai, bene un’altra persona ha svoltato.

Ecco perché è stata una sferzata in pieno viso l’intervista sul Corriere della Sera in cui, parlando della sua esperienza, equipara i life coach ai personaggi che l’hanno irretita per tanti anni. Nel libro del 2013 in cui avevo già letto la sua storia e ho consigliato ad altre donne, lei accusava una setta.

Dalla lettura del primo articolo pensai quindi ad un’ennesima errata rappresentazione giornalistica, ma a seguire un pugno nello stomaco è arrivato attraverso la trasmissione su Verissimo del 4 Novembre in cui ha confermato di equiparare i life coach agli esponenti di sette manipolatrici, con la definizione degli stessi come “gente che spilla i soldi dicendo di salvarti”. Ancora ho difficoltà a credere di aver ascoltato una generalizzazione così grave e, allo stesso tempo, superficiale.

Ed ecco che mi ritrovo costretta a scrivere come Presidente di AICP, una delle associazioni che raccolgono le esperienze e le competenze dei coach professionisti italiani e che conta ad oggi più di quattrocento iscritti.

Il coaching è diffusissimo all’estero ed è in forte espansione anche in Italia, dove i professionisti che aderiscono alle Associazioni iscritte al registro del Ministero Economico (legge 4/2013), sono tenuti a formarsi attraverso corsi specifici e a mantenersi costantemente aggiornati. In Aicp adottiamo un modello di competenze distintive in cui si evince chiaramente cosa fa e cosa non fa un coach, questo ci consente di essere allineati e nel contempo di manifestare con trasparenza le caratteristiche del coaching.

Pur essendo una professione innovativa, Il coaching affonda le proprie radici in un pensiero classico molto lontano e consente alle persone di sviluppare consapevolezza, di sentirsi responsabili delle proprie decisioni, di acquisire nuove competenze, di raggiungere risultati di performance e centratura nel proprio lavoro o nella propria vita per auto generare uno stato di forza, di possibilità, di comprensione e connessione con l’altro, in un circuito virtuoso che si espande nella vita di tutti i giorni. Nulla a che vedere con quello che Michelle ha subito.

I coach lavorano per l’autonomia non per la dipendenza. I coach non lavorano sul disagio psicolologico.

I coach sono alleati del cliente per il raggiungimento di obiettivi e cambiamenti attraverso allenamenti e piani di azione, non usano lo strumento dell’abbandono ma dell’accompagnamento. I coach lavorano per rafforzare le alleanze e le relazioni, non per isolare. I coach fanno le domande, non forniscono soluzioni, perché promuovono l’autostima e l’autoefficacia. Il coaching è una Professione e non ci si può improvvisare.

Lei è stata vittima di delinquenti non di life coach.

Pertanto in nome della giustizia che tanto Michelle difende e di cui si fa portavoce con libri, interviste e azioni spero in una pronta e immediata correzione di rotta.

Sono pertanto disponibile ad un chiarimento per spiegare in cosa consista la professione del coaching, di parlarle di legge 4/2013 e illustrare la normative UNI sul servizio già in vigore e quella sulle abilità competenze e conoscenze in fase di elaborazione.

Avrei il piacere di raccontare la nostra attività no profit associativa per la tutela e la divulgazione di una professione che ha una storia e una dignità, al netto dei finti coach che nelle associazioni non hanno spazio. Come non ce l’hanno in un albo i finti medici, avvocati e altri sedicenti professionisti.

Le farei anche ascoltare testimonianze di cambiamento e di successo e racconterei i progetti social che la nostra associazione porta avanti anche in ambito scolastico, per essere allenatori tra i giovani dello sviluppo dei punti di forza che con la cura e l’allenamento, si trasformano in talento, consentendo ad ognuno di essere protagonista di una vita scelta.

Con i migliori saluti
Maria Teresa Arcidiaco

Presidente AICP (Associazione italiana coach professionisti)