Rappresentazione totalmente fuorviante della professione di coach

La presidente di Aicp, Arcidiaco: «I nostri professionisti sono tutti formati e l’attività è riconosciuta dalla normativa UNI e dalla legge 4 del 2013»

Roma, 28 luglio 2017

«La rappresentazione dei coach in merito al presunto progetto per “motivare” i nomadi degli insediamenti romani a cercarsi un lavoro è totalmente errata». Maria Teresa Arcidiaco, presidente di Aicp – la principale associazione italiana che riunisce i coach professionisti – rigetta senza dubbi la descrizione della professione offerta all’opinione pubblica: «I coach non sono un “ibrido” tra gli psicologi e i guru. Noi non facciamo gli psicologi e in quanto ai guru non so nemmeno chi siano e cosa facciano. Così si rischia solo di ingenerare confusione».

La professione di coaching è in forte espansione anche in Italia e il servizio di coaching è ormai regolamentato dalla legge 4 del 2013 sulle professioni non ordinistiche. Inoltre, la norma UNI 11601/2015 ha stabilito importanti criteri di svolgimento del servizio stesso a tutela del coach e dei clienti.

Le principali associazioni di coaching, i cui associati sono tenuti a seguire precisi obblighi di formazione e qualificazione professionale, sono iscritte nell’apposito Registro a cura del Ministero dello Sviluppo Economico.

I nostri professionisti, afferma Arcidiaco, «collaborano con aziende multinazionali, con imprese grandi e piccole, con istituzioni pubbliche, con i tribunali dei minori, con università, scuole e istituti di formazione e con privati per agevolare processi di cambiamento. E’ un lavoro di riconfigurazione interna alle organizzazioni che presuppone partecipazione e adesione volontaria da parte dei singoli destinatari dell’azione».

«Il coaching prevede che ci sia da parte di chi lo vive, forte motivazione all’evoluzione personale», spiega Arcidiaco. Il processo è “un percorso” per un miglior rapporto con se stessi, con gli altri e con il sistema. Obiettivi che richiedono impegno, consapevolezza e responsabilità. Il piano di lavoro prevede azioni concrete che toccano sfere valoriali e hanno un impatto sulla collettività».

«Perché ci siano i presupposti del coaching», conclude la presidente, «l’organizzazione come la singola persona deve essere disposta al cambiamento, deve sentirlo come una propria esigenza. Al contrario, è del tutto fuorviante far credere che i coach possano manipolare le persone e cambiare la loro identità».

 

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