L’etica del coach è un tema importante. Come in tutte le professioni muoversi seguendo un’etica, propria e della categoria, è fondamentale. In alcune professioni, poi, lo è ancora di più e il coaching rientra tra queste.
Il coach rappresenta spesso per il coachee un punto di riferimento nel percorso strategico impostato per raggiungere un obiettivo. Il coach è visto a volte anche come un modello, un esempio. Sicuramente è una figura di cui fidarsi, con cui stringere una partnership e, in quanto tale, entrare in stretto contatto, umano e professionale.
Per questa e per molte altre ragioni il coach ha l’obbligo di seguire un comportamento etico, quindi corretto, trasparente, professionale. Nel coaching sicuramente la tecnica è importante, la conoscenza fa la sua bella differenza, ma non di meno lo sono la propria sensibilità, la maturità personale e professionale.
Il coach entra in contatto con il coachee non soltanto a livello razionale e verbale, ma anche e soprattutto a livello empatico ed emotivo. Nel percorso per raggiungere un risultato c’è sudore e fatica, gioia e delusione, curiosità e ansia. Tutte emozioni. È lì che si gioca la partita, sul terreno delle emozioni e degli stati d’animo. È questo l’humus su cui poggia la tecnica e il ragionamento, le domande e le risposte.
La colonna sonora del percorso di coaching non può che essere la fiducia e l’empatia, la voglia di trovarsi reciprocamente lì a programmare azioni da compiere, a verificare risultati, a darci la carica insieme a provare emozioni condivise. Questo è quanto farà la differenza tra chi è un coach e chi lo fa. Non ci sono libri e studi che possano trasmettere questi aspetti, solo l’esperienza e la maturità personale possono dare quel quid pluris che il coachee vedrà giorno dopo giorno nello sguardo benevolo e motivante del proprio coach.
Chi è un coach lo è sempre, mentre esercita la professione e mentre non la esercita. Diventa una forma mentis, un modo di essere e di percepire il mondo e gli altri.
Chi è un coach lo è per passione, non lo fa per soldi, lo fa per amore verso di sé e verso gli altri. Gli piace, innanzitutto e adora quello che fa. Allora accade quello che il detto cinese ci insegna: “trova il lavoro che ti piace e non lavorerai mai più”.
Questo distingue chi è un coach da chi fa il coach.
In un bel libro di Donald Trump (pensate un po’ qual è la fonte) tanti anni fa avevo letto questa frase che mi è rimasta ed ha rappresentato negli ultimi quindici anni un faro per le mie scelte: “non fatelo per soldi, fatelo per amore. I soldi, quelli poi, arriveranno”.
Sta ora a ciascuno di noi coach chiedersi perché fa quello che fa…e aspettare che la risposta emerga da sé, più o meno sibillina da dentro.
Non fatelo per soldi, fatelo per amore.
Il coaching penso che sia una delle professioni più belle del mondo!
Mario Alberto Catarozzo
Non avrei saputo scriverlo meglio. Grazie.
Grazie Mario. Bellissimo quest’articolo.
Grazie Mario, che bella capacità la tua di trasformare in testo un pensiero e un sentimento
Ciao Mario, quello che hai scritto coincide perfettamente con quello che penso e dico sempre! I sentimenti, i bisogni sono il motore della nostra vita, il cuore è ciò che ci mette in contatto autenticamente con gli altri.
Semplice e chiaro. Ricordo che è stato il primo degli insegnamenti ricevuti alla scuola di coach insieme a quello di avere cura di sè (per essere un buon coach). Anche a me piace pensare di essere coach, anzi, mi piace essere un coach. Grazie.