Voglio fare un augurio speciale ai coach di A.I.C.P. che il 2016 sia per tutti noi l’anno del bello, dell’armonioso e del sereno. L’anno che ci indicherà la strada, che farà emergere i nostri punti ciechi e quelli dei nostri coachee.

Il mio brindisi virtuale con tutti voi, si esprime attraverso una riflessione sulla “concentrazione” che ho il piacere di condividere.

La Concentrazione nel Coaching

Per certi versi il coaching è come una partita a scacchi, non nel senso dell’esito, perché nessuno vince e nessuno perde, ma nel senso della mossa giusta che è come la domanda giusta e potente che induce l’insight nel coachee. Questa possibilità, che ci si augura sia sempre realizzabile, nasce secondo me anche da una grande concentrazione, che qui chiamerò “connessione”.

Essere connessi con se stessi è, secondo me, la base di una connessione con l’altro, così intensa e profonda da ricordare l’abisso di un mare profondo e buio. È da questo buio che si può sprigionare improvvisamente la luce, l’insight del coachee che vede qualcosa con altri occhi, secondo una prospettiva diversa.

Da una forte connessione, si può liberare una grande autonomia: la capacità, cioè, di vedere qualcosa con la propria autentica essenza. Perché, ritengo, che l’insight sia libertà e, quindi, autonomia.

Una connessione profonda del coach nei confronti del coachee, ma anche viceversa, genera uno stato emotivo di intensa colleganza e più il coach è collegato con se stesso, più si può collegare con il coachee. Diventa, per un attimo, parte della sua stessa anima e se ne può staccare subito dopo, formulando la domanda che può aiutare il coachee a separarsi da se stesso, esattamente come il coach ha fatto nel momento in cui ha formulato la domanda. In questa separazione, risiede l’autonomia e la liberazione dell’autenticità. Ma se non ci fosse stato il momento della connessione, non ci sarebbe potuto essere il momento del distacco.

Tutte le volte che devo affrontare una scelta o qualcosa di un po’ “turbativo” per me, entro in questo stato di connessione con me stessa. La sua funzione, nel mio caso, è quella di rientrare in contatto con la mia energia e con la profondità del mio essere, affinché nel tempo che serve, affiori la direzione giusta per me. Come se fosse un dialogo interno con me stessa, senza parole, ma attivato attraverso il sentire.

Con i coachee, mi capita abbastanza di frequente che nel corso della sessione mi dicano: “accidenti, posso segnarmi quello che hai appena detto? Non ci avevo proprio pensato!” – oppure – “…però…mi si è aperta improvvisamente un’altra visuale, dandoti una risposta alla domanda che mi hai fatto”.

Dopo eventi di questo genere, tutto cambia. Il coachee ha individuato il posto giusto per un tassello che prima era collocato forzatamente nel puzzle della sua vita.

Infine, quello che posso dire è che ciò che pratico nel coaching, cerco di praticarlo anche nella mia vita quotidiana. Probabilmente non sortirebbe lo stesso effetto, se fosse praticato solo nel coaching, un po’ come una tecnica. La connessione è uno stato, non è un’azione, semmai le azioni precedono il raggiungimento di questo stato. È come la quiete che nasce dal moto, che improvvisamente si arresta.

“il ritmo del corpo, la melodia della mente e l’armonia dell’anima creano la sinfonia della vita”

B.K.S. Iyengar

 

Chi sono
epEmanuela Del Pianto, Psicologa del lavoro e delle organizzazioni, coach, senior consultant HR, autrice di diversi libri editi dalla Franco Angeli (tra cui ricordiamo “Coaching e Team Coaching”, 2009 e “Il piano di sviluppo nel team coaching”, 2011), docente presso Università e diversi master, Responsabile della Ricerca e Vice-Presidente di AICP, socio riconosciuto SCP Italy, socio e supervisore riconosciuto di ISCP.