Nella mia attività di coach suggerisco sempre ai miei Coachee di tenere un diario. Concordo con loro la creazione di una sorta di “abitudine”, un appuntamento quotidiano da tenere con se stessi: stessa ora, possibilmente stesso posto, carta penna e molta tranquillità. Di solito è la sera il momento prescelto dai più, prima di uscire dall’ufficio e andare a casa. Bastano 15 minuti in totale tranquillità con penna alla mano e moleskina davanti. È il momento dei bilanci della giornata, in cui diamo a noi stessi un feedback per quanto abbiamo fatto: progetti conclusi, gestione di problematiche, gestione del tempo, cosa ha funzionato e cosa invece richiede ancora un po’ di lavoro per migliorare.
A che serve questo momento di feedback quotidiano?
Il principio che sta alla base è comune agli inventori e agli scienziati. L’inventore per migliorare dopo ogni fallimento ha bisogno di capire cosa è accaduto. Solo girandosi sul passato e utilizzandolo come scuola, può comprendere e utilizzare l’errore nell’ottica di miglioramenti per step. Ogni step rappresenterà un passo in più verso la soluzione efficace.
Qualcosa di analogo fa lo scienziato, o almeno coloro che traggono la regola dall’esperienza. Si fissa dunque un protocollo di azione e poi si verificano i risultati: ciò che funziona è la regola giusta al caso concreto. Dunque, non il cercare di far valere una regola teorica agendo sulla realtà per farla combaciare ma, all’opposto, partire dalla realtà, agire su di essa verso un obiettivo, poi osservare il risultato (feedback) e quindi ricavare da esso la regola per noi valida in quella situazione.
Ebbene, partendo dai principi di Kurt Lewin action-research, anche nella vita di tutti i giorni, professione inclusa, se vogliamo diventare più efficaci e più efficienti, l’unica vera strada è la programmazione, l’azione, la verifica del feedback, quindi la conferma, oppure la modifica dello schema di azione.
Nel Coaching questo processo viene chiamato T.O.T.E. (Test – Operation – Test – Exit).
Torniamo dunque alla buona abitudine di programmare ogni giorno 15 minuti di feedback con se stessi, meglio se scritto. Si tratta di applicare alla vita quotidiana personale e professionale un principio largamente applicato in altri ambiti, che fa del feedback (retroazione) il suo fulcro per valutare l’efficacia della stessa.
Anche in ambito comunicativo, per esempio, uno dei grandi maestri, Paul Watzlawick, nei suoi assiomi della comunicazione umana specifica che il valore della comunicazione risiede nel feedback che si ricava.
Provate per un attimo a fermarvi, liberate la vostra mente da altri pensieri e considerate quanto vi capita di fare ogni qual volta vi relazionate con un interlocutore: quasi sempre di fronte ad una difficoltà comunicativa agiamo su di lui e quando poi raccontiamo l’episodio tendiamo a lamentarci o biasimare l’altro. Possiamo fare di meglio, nel nostro interesse? Certo, si tratta di fermarsi a vedere le cose come un terzo osservatore e, allontanandosi per un attimo dal contenuto, verificare se la strategia (scelte operative fatte) è stata efficace, oppure no; l’efficacia o meno sarà legata al feedback che avremo dall’altro. In caso negativo, sarà utile rivedere modalità, tempi, luoghi e strategie della nostra comunicazione, solo così miglioreremo la nostra efficacia di azione. Il tempo passato a parlare dell’altro, per quanto sfogo comprensibile, è di fatto tempo buttato via.
A questo servono i 15 minuti al giorno di feedback, a creare un momento di verifica delle nostre azioni e strategie, per confermarle, se efficaci, modificarle, se inefficaci.
L’alternativa è rimanere inconsapevoli, ripetere abitudinariamente azioni e schemi, insomma vivere come un criceto in una ruota.
A ciascuna la scelta.
Buon lavoro
Mario Alberto Catarozzo