La felicità è un diritto, la felicità è una conquista, la felicità non esiste.
Si sono spese così tante parole su questo argomento.
La letteratura sulla felicità è immensa.
Gli americani ce l’hanno nella costituzione ma ha preso la forma dell’ottimismo, del pensiero positivo, dell’iperbole verbale.
Cosa sia la felicità non è chiaro.
E la sua formula aspetta ancora di essere scoperta.
È un sentimento, uno stato d’animo, un moto dell’anima, una prospettiva futura, un momento fugace .
La percepiamo ma non possiamo fermarla, non ci appartiene.
Quando è desiderio ci impedisce di vivere il momento presente .
Quando l’afferriamo pensiamo che durerà poco e che debba inevitabilmente alternarsi alla sofferenza, al dolore.
Picchi emotivi che vanno ad equilibrarsi.
Tanto in alto quanto in basso.
Abbiamo tutti conosciuto momenti di felicità. E ognuno ha la sua ricetta personale, a volte segreta.
C’è un pudore intrinseco nello svelare cosa ci rende davvero felici.
La paura della dipendenza, del sentirsi vulnerabili rispetto a chi può darci o toglierci questa gioia.
Chi ti rende felice ti lega a sé.
E spesso senza averne la piena consapevolezza lasciamo scivolare via la possibilità di esserlo.
Boicottiamo la Felicità.
Per una “confortante” serenità.
È così che fa l’adulto. Si definisce sereno. Guai a chiedergli se è felice. Si schernisce e passa oltre.
Scegliamo il limbo pensando di non poter pretendere di più. Per contratto di appartenenza al mondo dei grandi.
Per comodità e assuefazione alla coscienza collettiva.
La felicità resta il regno dei bambini e della fantasia.
Vive nel mondo della creatività e dei sogni .
Uno spazio immenso al quale possiamo attingere e fare pratica.
Perché anche la felicità è un’abitudine e come tale va coltivata, praticata e condivisa.