Qualche anno fa … scrissi questo testo … la genesi del mio percorso come coach … buona lettura!
Ho frequentato questo meraviglioso corso che ha confermato in pieno un cammino già iniziato con la meditazione ed ha risposto ad una crisi di autogoverno in atto sin da quando ho ricordi, ma di cui ho preso coscienza solo negli ultimi periodi. Ed allora ho capito qualcosa in più. Ho capito che essere coach non è essere motivatori naif ma il cachee ne esce intimamente motivato! Ho capito che essere coach non è essere insegnanti ma il coachee impara cose importanti su e di sé stesso! Ho capito che essere coach non è essere guida spirituale ma il coachee ricerca il senso delle cose. Eh si, ho capito tante cose!
Per esempio ho capito anche che un percorso di coaching nasce con l’impegno del cliente ad esplorare e allenare se stesso e le proprie potenzialità motivato da una crisi di autogoverno; ha solidi pilastri nella relazione facilitante, nello sviluppo del potenziale e nella attuazione del piano d’azione che tiene conto dei suoi obiettivi, degli ostacoli e dei facilitatori di tale percorso e infine si sviluppa in un continuo monitoraggio. Cavolo! È bello!!
E mi piace anche! E sto bene quando “faccio il coach”!
Poi, alla fine, pensando alla tesi di fine corso, che cosa accade? Eccola lì la domanda finale: “ma scusate a cosa serve il coaching?”
Che è una domanda diversa e con una risposta diversa (?) da: “ma perché una persona richiede sessioni di coaching? Cosa cerca nel coaching?”
E io mi sono anche chiesto: “ma perché cavolo voglio essere coach?”
Buone queste domande, le ritengo proprio buone, soprattutto se arrivano alla fine del corso ahahah!
Mi frullano per la testa tante parole che in realtà sono valori, sono alleati, …
QUI E ORA POTENZIALITÀ POSITIVITÀ
PENSIERO LATERALE CONSAPEVOLEZZA
MOTIVAZIONE INTRINSECA CONOSCENZA DI SÉ IL SENSO DELLE COSE
NATURA BELLEZZA AMORE BALLARE CANTARE
IO SONO OK TU SEI OK CAMBIAMENTO MIGLIORAMENTO
FELICITÀ

Orpo … FELICITÀ, certo io sono felice, anzi pensavo di essere felice poi “qualcuno” mi ha parlato di Self-Determination Theory e sono caduto dalla sedia; ma come? Io sono felice! E basta!
… E allora ho capito qualcosa di più! Ho capito qualcosa di molto importante! Al di là della teoria sulla felicità nell’area della razionalità, in quella della competenza e in quella dell’autonomia (definizione completa ed esauriente, ma che ancora non mi fa “sentire” la felicità). Quella felicità che ho appena provato mangiando con le mani l’anguria con mia moglie sopra il lavello della cucina succhiando con rumori da adolescenti il succo del frutto e sentendomi dire “io sono felice questo!” (nda mia mogli è giapponese), che in un attimo ti fa provare tutto l’arcobaleno delle emozioni finora vissute in coppia, la serenità di un presente pieno e la determinazione di un futuro ben preciso! Ok, ma questo è amore, qualcuno direbbe. E avrebbe anche ragione!!
Ed è stato IL LAMPO!!
È tutto lì il segreto, … è l’amore! Amore per se stessi, amore per il prossimo, amore per la vita, amore per la natura, amore per ogni cosa che si fa!
Se ami l’Esistenza tutto ha un senso, se rispetti questo senso delle cose tutto ciò che fai è in armonia con le tue esigenze; consapevolezza, autostima e benessere globale e diffuso pervadono la tua esistenza; il miglioramento continuo diventa una conseguenza. Cavolo sei felice!
Non potevo scegliere alcun argomento specifico dell’ evidence-based coaching e isolarlo dal contesto, perché lo vivo come un tutt’uno inscindibile; è un mio limite forse, ma tant’è! Secondo me ogni argomento presentato e discusso in questo percorso è orientato a soddisfare la necessità primaria di ogni essere umano: attraverso l’amore diffuso ricercare la propria felicità!
Io questo ho capito!
Il coaching in ultima analisi serve a rendere felici le persone che vogliono esserlo ma hanno smarrito se stessi, hanno smarrito la strada, non riescono ad esprimere se stessi in termini di futuro desiderato, non condividono magari una parte del loro cammino. E va benissimo se il percorso si incomincia per perdere peso, aprire una nuova attività, migliorare una relazione, cambiare lavoro, eccellere nello sport, eccetera. Anzi è importante “vedere” un traguardo, agire al fine di raggiungere l’obiettivo!
Perché noi tutti semplicemente vogliamo essere felici nel rispetto delle nostre caratteristiche e inclinazioni, nel rispetto del nostro intimo, liberati dalle credenze e dai luoghi comuni quando non dalle forzature che l’ambiente “ostacolante” ha messo in atto per le più svariate motivazioni.
Questo processo nasce quando sentiamo anche solo un po’ di amore per noi stessi e quindi facciamo qualcosa per amor proprio! Ci vogliamo bene e tendiamo naturalmente alla nostra felicità. Quel barlume di pazza lucidità ancora senza direzione che spinge, forse inconsciamente, il cliente verso il coaching per esprimere finalmente le sue potenzialità al meglio, va capitalizzato perché è la sua originale richiesta di autentica felicità. È alla ricerca della sua felicità!
Ok, ho capito che il coaching porta (serve) alla felicità, se non altro è il primo step verso la felicità.
Ed io? “perché cavolo voglio diventare coach?”
Provo solo ad esprimere cosa mi accade: mi fa stare bene e mi sento me stesso quando ascolto le persone; qualche volta è difficile accettare qualcuno, ma sono ripagato dalla gioia, dal coraggio o dall’intuizione che vedo negli occhi di chi cerca un “uditore” e mi sono sempre accorto di questo anche nello svolgere i miei precedenti incarichi. Il mio problema (che poi non era un problema) era che i clienti andavano oltre e parlavano di se stessi e di ciò che avrebbero voluto essere/fare/avere, ed io mi ci trovavo a mio agio! Mi sono scoperto ad amare non solo gli amici, i familiari, i compagni del corso coaching, ma pure i clienti! E sono felice!
Probabilmente la difficoltà più grande è quella di restare sull’argine, di non farmi portare dal vortice delle emozioni e dei “problemi” di chi ascolto. Ma questa è anche una delle lezioni di vita più importanti che ho verificato in questi mesi. E comunque non ferma il mio proposito di essere dispensatore di felicità perché io la mia felicità la voglio dilapidare per il mondo!
Nel mio percorso di vita ho incontrato qualcuno che ha dato all’amore e alla felicità una consistenza fisica, descrivendone le caratteristiche. Voglio condividere queste posizione per scoprire qui e ora cosa si sente a essere felici.
“Tristezza, rabbia e paura: sono tutte emozioni che derivano da qualche forma di attaccamento a qualcosa o a qualcuno. Tuttavia molti di noi imparano a credere che anche l’ amore e la felicità siano emozioni. Tale convinzione oscura sia il nostro bisogno che l’abilità di essere più consapevoli delle nostre emozioni e di come le creiamo. Essa deriva dalla perdita di significato delle parole amore e felicità. Usiamo queste due parole in maniera troppo generica al punto che esse sono diventate due tra le parole più fraintese ed eccessivamente usate nel nostro linguaggio quotidiano. Amore è per lo più confuso con desiderio, con l’ attaccamento, con la dipendenza e con l’ identificazione. Quando parliamo di amore in questo senso non parliamo di amore quanto del suo opposto. Facciamo lo stesso con la parola felicità. La usiamo e ne abusiamo in molti modi. La confondiamo con un possesso, con il consumo, con qualche esperienza stimolante e con il sollievo. In realtà stiamo dicendo che crediamo che l’amore e la felicità nella vita vengano dal di fuori di noi e che siano dipendenti dagli altri, dalle circostanze o da qualche stimolo fisico. Tuttavia, tutti sappiamo profondamente che vero amore e felicità sono incondizionati, non dipendenti da qualcosa o da qualcuno, e che si muovono dall’interno verso l’ esterno e non dall’esterno verso l’ interno. Amore e felicità possono essere considerati […] il nostro puro potenziale in tutte le situazioni. Quando agiamo con amore vero facciamo qualcosa per gli altri che porta loro beneficio a livello spirituale e quando ciò accade sperimentiamo le vera felicità, che è più simile a una profonda sensazione di appagamento interiore. Questo modo di vivere affonda le sue radici nella pace. Se non siamo in pace con noi stessi non possiamo dare amore. La pace è, l’amore fa e la felicità ripaga. Solo allora la nostra autostima e il senso del nostro valore diventano solide rocce, perché ci rendiamo conto che questi nuclei di qualità interiori non possono esserci portati via e che essi sono la base del nostro valore in quanto persone e dei nostri valori di vita. […] Quando la felicità di una madre non dipende dall’obbedienza del figlio, allora è capace di essere amore per quel figlio, anche quando imporrà delle regole. Quando la felicità di un manager non dipende dall’essere in tempo per le scadenze, né dalla performance dei membri del suo gruppo, allora saprà essere più attento e più incoraggiante verso i suoi collaboratori, il che è alla base di una leadership efficace. […] (Brahma Kumaris World Spiritual University -[Sadhana])

“Essere gioiosi, felici, è la condizione naturale del nostro essere.
Come conseguenza del massiccio bombardamento di regole, convenzioni e indottrinamenti cui siamo quotidianamente sottoposti tale stato dell’essere inizia a venir meno sin dai primi anni di vita, mentre parallelamente si formano strati su strati di condizionamenti, pregiudizi e false credenze che impediscono alla nostra anima di respirare.
Noi abbiamo familiarità esclusivamente con la felicità e l’infelicità legate all’ego. Abbiamo perduto la capacità di godere della gioia naturale, appagante, stabile, che è parte integrante del nostro essere.
Conoscendo unicamente tale tipo di pseudo-felicità – una sorta di euforia, di eccitazione passeggera – l’uomo non può far altro che tentare di procurarsene in misura sempre maggiore. Ma questa felicità, oltre ad essere soltanto un sottoprodotto della vera gioia, è anche unita indissolubilmente al dolore: se la tua gioia dipende dall’approvazione degli altri, la loro disapprovazione ti renderà triste: sarai semplicemente un inerme burattino di cui gli altri tireranno le fila.
La chiave risiede nel rinunciare deliberatamente a tale genere di felicità legata all’ego per ritrovare, attraverso una profonda comprensione, la gioia che ci appartiene per diritto di nascita, quella indipendente dal giudizio altrui, e da cui soltanto la mancanza di consapevolezza ci separa. […] Non è in nostro potere operare affinché si verifichino eventi esterni tutti a noi favorevoli: l’unica alternativa in nostro possesso è mettere in atto una graduale trasformazione interiore, per ottenere che ciò che accade fuori di noi possa influenzarci negativamente in misura sempre minore.
Gli stati d’animo di gioia e tranquillità che sperimentiamo nel raggiungere un particolare obiettivo, non sono determinati, come potrebbe sembrare ad un’analisi poco attenta, dal raggiungimento dell’obiettivo, ma dal placarsi della mente (al raggiungimento dell’obiettivo). Infatti, per un breve periodo, al conseguimento del risultato desiderato la mente si rilassa (non insegue nuove mete), prima di tornare nuovamente a generare ansie e tensioni in corsa verso il prossimo traguardo. E’ una mente calma che ci dona pace, non l’appagamento del desiderio in sé. Ed è, dunque, all’arrendersi della mente al nostro vero sé che dobbiamo puntare, non ad una realizzazione senza fine di desideri.
Il punto essenziale è: avere obiettivi genera ansia, non averne produce rilassamento. Il segreto consiste nel trasformare ogni obiettivo in preferenza, in modo che le sue caratteristiche ansiogene vengano neutralizzate. Gli obiettivi, pena frustrazioni e sofferenza psicologica, “devono” essere raggiunti. Le preferenze corrispondono a desideri che è piacevole veder realizzati, ma che non provocano sofferenza in caso contrario.” (Osho)