Immersioni e riemersioni per esplorare i nostri territori di confine, interiori ed esteriori e alcune suggestioni sulla risonanza culturale del concetto affascinante e multiforme di confine.

L’immersione nel tema del confine mi ha riportato alla mente suggestioni e domande, che credo siano in linea con un aspetto centrale su cui lavora il coaching, ovvero la frontiera del cambiamento e l’analisi di cosa portiamo con noi e cosa lasciamo nell’attraversarla.

Come risuonano in noi le declinazioni del concetto di confine?
A cosa pensiamo in relazione a questa parola?

Visualizziamo un filo spinato, un muro invalicabile, oppure vediamo un saltatore con l’asta, o un intrepido navigatore o semplicemente una cartina geografica?

È come se il concetto di confine potesse declinarsi in termini di limite o di frontiera: nel mio immaginario, se il limite è barriera che ferma e pure contiene e protegge, la frontiera è fatta per essere raggiunta e superata.

Possiamo guardare al confine da un interno verso un esterno o viceversa e le frontiere stesse possono essere esterne o interne a noi: frontiere della parola, del corpo, del proibito, delle età, la frontiera che separa la vita dalla morte…

E che cosa ci attrae al di là delle nostre frontiere? Come ci relazioniamo con il nostro desiderio e la nostra paura di oltrepassarle?

Il tema interseca anche molte suggestioni letterarie, cinematografiche e artistiche.

La prima suggestione cui voglio riferirmi è di carattere culturale e riguarda, al di là di qualsiasi giudizio di merito, la valenza propulsiva del concetto di frontiera nella cultura americana, in prima istanza con la conquista della terra, del Far West.

L’arrivo sulla costa americana per gli Europei rappresenta una sorta di reset: si riparte da zero e ci sono delle possibilità, proprio in ragione dell’esistenza di una frontiera.

«La nuova frontiera» è poi la formula che J. F. Kennedy scelse per sintetizzare il senso della sua presidenza: era il 1960 e l’America attraversava un’epoca di insicurezza e sfiducia nella dimensione della sua storia, per la connaturata necessità di tendere verso il superamento di confini sempre nuovi. Iniziava così per l’America il lungo viaggio oltre i confini della scienza e dello spazio e verso la conquista dei diritti civili.

In particolare, la frontiera dello spazio ha una forte valenza simbolica rispetto a ciò che implica l’attraversamento di un confine, soprattutto se quel confine ci separa da un cambiamento importante. Occorre una grande energia per vincere l’attrazione gravitazionale esercitata dalla nostra zona di comfort, occorre lasciare indietro quello che non serve più, abbandonare le zavorre, affrontare un passaggio che, sul momento, non prevede la possibilità di tornare indietro. Nello stesso tempo, una volta a destinazione ci sarà bisogno di ricreare le condizioni per stare bene, in particolare le relazioni, poichè spesso nell’attraversare un confine ci troviamo da soli.

Cosa accade alle nostre convinzioni, all’immagine di noi, a quella degli altri e alle parole che ci tengono a loro legati quando oltrepassiamo quella linea di confine?

Superare un confine, oltrepassare una frontiera significa spesso abbandonare qualcosa in favore del nuovo, talvolta dell’ignoto: penso che a questo si associ il rischio di una temporanea perdita d’identità, in quel passaggio dove abbiamo smesso di essere qualcosa e ancora non siamo diventati altro.

Ed è li che, nella mia visione del confine, si annida la paura di recidere o modificare i legami e di rivedere il nostro posto nel mondo.

Faccio riferimento a questo punto al romanzo “Oltre il confine” di Cormac McCarthy, che si svolge lungo il confine tra Messico e Stati Uniti: storia di viaggi, perdite e ricongiungimenti con un intenso valore simbolico. Qui il confine non è soltanto quello geografico, è anche quello esistenziale, è la linea d’ombra che segna il passaggio tra l’infanzia e l’età adulta, tra gli ideali della giovinezza e il disincanto.

Personalmente credo molto nella possibilità di utilizzare la letteratura, e così pure il cinema e l’arte in generale, come strumento per affrontare le situazioni della nostra vita.

Il momento stesso che viviamo ci chiama a confrontarci con nuovi confini: il distanziamento sociale, le limitazioni agli spostamenti, il lavoro in molti casi costretto negli spazi domestici. I nostri confini si sono ristretti e ci impongono nuove prospettive, nello spazio e nel tempo.

Anche qui ritrovo il paradigma del confine come limite o frontiera, e al suo interno il paradosso di una comunicazione alla ricerca di nuove strade, in una situazione che qualcosa chiude e altro apre e dove le parole sono spesso tutto quello che abbiamo.

 

Riferimenti bibliografici:

  • Cormac McCarthy (1994), Oltre il confine (titolo originale “The Crossing”), Einaudi Editore
  • John Fitzgerald Kennedy, La nuova frontiera Scritti e discorsi (1958-1963), Donzelli Editore
  • Frederick J. Turner – La frontiera nella storia americana (1920), il Mulino Editore
  • Grazie a Davide Longo per le suggestioni dei suoi workshop di lettura:

Oltrepassare la frontiera e Linee d’ombra