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Hai mai notato quanti porcospini si aggirano nel tuo ufficio? nel tuo luogo di lavoro? No? Davvero? Adesso ti spiego… ;-)

Arthur Schopenhauer, filosofo tedesco (uno dei maggiori pensatori del XIX secolo e dell’epoca moderna) nella sua raccolta di pensieri “Parerga e paralipomena” ci racconta “Il dilemma dei porcospini”.

E’ la storia di alcuni porcospini che in una giornata fredda, decisero di stringersi tutti insieme per sentire il calore reciproco e non morire congelati. Ben presto però, gli animali, si punsero l’un l’altro con le loro spine e furono costretti ad allontanarsi. Poco dopo, il freddo cominciò a rifarsi sentire e i porcospini si avvicinarono nuovamente, sperimentando un’altra volta il dolore dovuto alle spine dei compagni. Non c’era soluzione: se cercavano conforto, relazione e aiuto, provavano dolore; se si allontanavano, sentivano molto freddo e rischiavano di morire.

Ok, forse ti starai chiedendo cosa c’entra tutto questo con il tuo luogo di lavoro? Con il tuo ufficio?

Prova ad immaginare che ognuno di noi sia un porcospino: un animale sociale che per natura cerca la relazione ma che compiendo quest’azione naturale, porta con sé tutte le proprie spine (le proprie esperienze più o meno dolorose, i propri problemi quotidiani, le proprie questioni di vita irrisolte, etc…). Pare proprio che ogni volta che ci relazioniamo con un altro “porcospino” non possiamo non farlo senza pungerlo e senza essere punti. Questo accade nelle relazioni affettive (con partner, figli, amici…) ma anche in quelle lavorative, dove si trascorrono molte ore insieme ai colleghi, dove spesso è necessaria la collaborazione delle varie parti e dove molto frequentemente una comunicazione chiara, una condivisione di intenti, un raggiungimento comune degli obiettivi, sono messi a dura

prova dalle “spine” di ogni componente del team (ti è mai capitato di litigare con un collega, di non capire il comportamento di un tuo superiore, di non essere sereno sul luogo di lavoro? ;-))

Torniamo alla metafora di Schopenhauer: che fine hanno fatto i poveri porcospini? Sono morti di freddo o di dolore? La buona notizia è che non è andata a finire in nessuno di questi due modi…

gli animali infatti, riuscirono a trovare una giusta distanza reciproca che gli permettesse di percepire il calore dei compagni, senza sentire il dolore delle spine.

Questa giusta misura, nei rapporti affettivi e sociali e di conseguenza anche nelle dinamiche aziendali, può essere trovata e applicata attraverso la capacità di “controllare i sentimenti ed emozioni proprie ed altrui, distinguere tra di esse e di utilizzare queste informazioni per guidare i propri pensieri e le proprie azioni” (Peter Salovey e John D. Mayer – “Emotional Intelligence”, 1980). Questo insieme di abilità prende il nome di

intelligenza emotiva.

L’intelligenza emotiva, tema arrivato al grande pubblico nel 1995, grazie a Daniel Goleman e al suo libro “Emotional Intelligence” (tradotto in italiano nel 1997), è una competenza insita nell’essere umano, che se applicata e allenata attraverso il coaching, ci permette innanzitutto di renderci coscienti delle nostre “spine” e di quelle altrui (primo importantissimo passo), e di  gestire le emozioni e attivando così una condotta fondamentale per il benessere, lo sviluppo e per il raggiungimento degli obiettivi pianificati dall’azienda.

Coaching individuali o in piccoli gruppi all’interno dell’azienda, mirate ad un appropriato sviluppo dell’intelligenza emotiva, possono rappresentare un passo fondamentale per svolgere il proprio lavoro in maniera ottima, soprattutto nel caso dei lavori di squadra, garantendo la riduzione dei conflitti nella relazione tra colleghi, tra dirigente e impiegato e promuovendo un ambiente in cui lo scambio di opinioni, emozioni e idee accrescela motivazione e l’impegno.

Alla luce di tutto questo, grazie al lieto fine che ci propone Arthur Schopenhauer, e al potere trasformato del Coaching, possiamo oggi costruire ambienti lavorativi sereni ed efficienti, dove si possano percepire i bisogni dell’altro come altrettanto importanti quanto i propri, collaborare per mezzo di comprensione ed empatia, comunicando efficacemente senza il rischio di “pungersi” e con l’opportunità di diventare ogni giorno emotivamente più intelligenti.